Come limitare o quantomeno gestire il rischio quando si investe in piattaforme di Equity Crowdfunding? Ogni investimento è inevitabilmente associato ad un rischio intrinseco di perdita del capitale o anche semplicemente di mancato raggiungimento degli obiettivi fissati a priori.
Se tuttavia nel campo degli investimenti tradizionali c’è una grande letteratura che cerca di misurare il rischio a partire dai dati storici, l’investimento in startup genera delle problematiche ben più ampie perché i valori economico finanziari presenti nei business plan delle startup e pubblicati nei portali di Crowdfunding sono di per sé dati aleatori, sebbene vengano espressi normalmente in termini puntuali. Se non fosse per il fatto che sono inseriti in tabelle prospettiche si potrebbero facilmente confondere con dati consuntivi.
Tuttavia, se provassimo a confrontare ex post i bilanci effettivi di queste società con i dati prospettici dichiarati inizialmente, ben difficilmente ci troveremmo di fronte ai medesimi importi o anche valori ad essi approssimabili.
Ciò che serve allora in questi casi è una valutazione della relazione tra rischio e rendimento presente nei piani finanziari, ma prima ancora serve confrontarsi con la difficoltà di esprimere una congrua misura del rischio aziendale delle Startup. Le startup, essendo prive di una precisa identità storica misurabile, non ci permettono di utilizzare il consueto metodo delle stime su dati certi da cui derivare delle linee di tendenza. Nelle scienze naturali, che studiano fenomeni “complessi” (come nella Meteorologia) le previsioni si fondano su stime probabilistiche e non puntuali, ed anche in altri contesti della fisica classica le previsioni non sono sempre precise. In Balistica, per esempio, non è affatto scontato che un proiettile colpisca esattamente il bersaglio perché sono troppe le variabili in gioco che possono influire sul moto inerziale e questa indeterminatezza aumenta con l’aumentare della gittata.
In tutti questi scenari, pertanto, ha senza dubbio più senso esprimersi in termini di “distribuzione di probabilità”, tanto di colpire il bersaglio in Balistica, quanto di raggiungere esattamente le previsioni quantitative di un obiettivo economico aziendale per una startup, la quale si muove, per continuare l’analogia del proiettile, all’interno di un ampio campo di variazione. Sfortunatamente, questo modo di rappresentare le grandezze risulta ancora di difficile comprensione per l’investitore medio, soprattutto in relazione al valore di premoney, il quale dovrebbe essere espresso in termini “probabilistici” anziché in termini “deterministici” talmente variabili da renderlo incompatibile con l’esigenza di avere una grandezza ben determinata da inserire nella delibera di aumento di capitale richiesta agli investitori.
Come risolvere il problema? Prima di tentare una risposta dobbiamo definire bene il concetto di rischio finanziario. Per un investitore, il rischio finanziario si identifica nella concreta possibilità di perdere tutta o quasi la somma investita nell’aumento di capitale della startup. Questo tipo di rischio deriva dalla inevitabile presenza – ed estremizzazione – del cosiddetto rischio d’impresa, che a sua volta discende dal fatto che “In un’economia di mercato il consumatore è sovrano e dalla sua libertà di scelta sorge il rischio per l’impresa” (Ghiringhelli, “Analisi di Bilancio e Driver di Valore”). Ad esempio, i potenziali clienti delle startup potrebbero non comprare i servizi/prodotti, oppure accettare lo scambio a prezzi del tutto insufficienti a coprire i costi aziendali, rendendo di fatto impossibile il recupero delle somme investite.
In definitiva, limitarsi a valorizzare nei business plan le ipotesi di rendimento atteso mostra solo un lato della questione (quello che piace all’investitore). Questa lacuna ci spinge a trovare un’adeguata misura del rischio specifico corrispondente alla proposta del rendimento atteso. Tale misura è implicitamente sempre presente nel tasso di attualizzazione dei flussi di cassa/reddito che portano a quel dato valore di premoney (ovvero il valore dell’azienda prima della raccolta dei fondi, che di fatto rappresenta il prezzo di ingresso per i nuovi soci). L’intensità di questo specifico “segnale di rischio” dovrà essere necessariamente di gran lunga superiore a quella presente nei tradizionali investimenti in equity espressi dai prezzi dei valori azionari dei mercati regolamentati .
Quindi, assumendo il valore premoney e i flussi di cassa/reddito come parametri, il tasso che equilibra questi due differenti parametri è dato dal tasso di attualizzazione dei flussi che a sua volta incorpora una misura del rischio specifico. Inoltre, il rischio in cui impatterà la startup non potrà prescindere dalla maggiore o minore volatilità del segmento di mercato che la startup stessa andrà ad occupare; questa ulteriore integrazione di rischio la si può ottenere stimando la volatilità storica dei maggiori competitors .
Riassumendo, l’investitore potrà avere una rappresentazione aggiornata di tutte le proposte pubblicate nelle diverse piattaforme di Equity Crowdfunding andando a scegliere quelle che hanno scontato l’alto rischio di variabilità del valore premoney attraverso una riduzione prudenziale del prezzo di ingresso al patrimonio aziendale, valutata da precisi dati statistici che la rendano congrua.